I celti erano un popolo di origine indoeuropea insediate in un’area molto estesa dell’Europa, e anche oltre. A unirli erano le origini etniche, la condivisione della lingua e l’orientamento spirituale. Oggi vogliamo focalizzarci sulle principali festività celtiche, che oggigiorno stanno riconquistando dignità diffondendosi a macchia d’olio. Vale quindi la pena soffermarsi sul loro significato, per carpirne l’essenza più profonda e coglierne eventuali insegnamenti. Innanzitutto va detto che i Celti distinguevano due cicli, solare e lunare, e a ciascuno di essi corrispondevano specifiche festività. Se il ciclo solare veniva associato alla croce a bracci ortogonali e simmetrici, il ciclo lunare era invece associato alla Croce di Sant’Andrea. Le 4 feste solari, legate ai cicli stagionali, erano: Yule, solstizio d’inverno il 21 dicembre, Oestara, equinozio di primavera il 21 marzo, Lithà, solstizio d’estate il 21 giugno, Mabon, equinozio d’autunno il 22 settembre. Le 4 feste lunari: Beltaine, festa di primavera del primo maggio, Imbolc, 1 febbraio, Lughnasad, festa d’estate il primo agosto, Samhain, festa dei morti celebrata l’1 di novembre, che dai Celti era considerato il primo giorno dell’anno. Analizziamole nello specifico. Fine dell’estate, inizio dell’oscurità. Questo simboleggia la festa di Samhain, da sam e fuin “fine dell’estate”, per noi babbani “Halloween”, che si celebra fra il 31 ottobre e l’1 novembre. Una festa che segna, nel calendario celtico, l’inizio dell’anno nuovo, esattamente come il nostro Capodanno. Un momento di passaggio importante a livello agricolo e pastorale, durante il quale la terra si prepara per l’inverno, quindi per il ritiro. Corrisponde infatti alla fine del ciclo agricolo. Non a caso Samhain è il momento dell’anno in cui ci prepariamo a ritirarci, fisicamente e spiritualmente, in noi stessi e nelle nostre case, pronti a investigare le profondità dell’animo, lontani dal mondo esterno e dalle sue maschere. E’ il buio da cui tutto ha inizio. Una fase di riposo, di ascolto, passaggio tra vita e morte. Difatti è anche il momento in cui Regno dei Vivi e dei morti si incontrano, e di conseguenza tempo di divinazioni e di preghiera nei confronti degli antenati defunti. I Celti festeggiavano Samhain bevendo e mangiando, facendo profezie e incantesimi, rituali magici e di protezione, per circa 3 giorni e un massimo di 6 settimane. Anche la festa dei morti cristiana deriva, secondo molti ricercatori, dal Samhain celtico, ma la Chiesa la definì giorno di Ognissanti, assegnando ad alcuni dei simboli tradizionali celtici significati religiosi, senza ovviamente rivelarne la discendenza pagana. La festa, nel corso del tempo, acquisì un significato diverso perché la Chiesa contribuì a tacciare negativamente le divinità e gli esseri soprannaturali venerati anticamente, quali manifestazioni diaboliche. E da questo dipenderebbe, a quanto pare, l’usanza moderna di travestirsi da mostri per scacciare gli spiriti maligni, mettendo loro paura. Se Samhain segna la fine di un ciclo, Yule segna l’inizio. Corrisponde al nostro Natale. Il Sole, e quindi la luce, inizia la sua ascesa dopo il profondo buio. Difatti l’oscurità raggiunge il suo apice ma proprio quando sembra sul punto di trionfare, lascia spazio alla luce, che progressivamente prende il sopravvento. Da un lato la morte del Vecchio Sole, dall’altro la nascita del Sole Bambino nell’utero della dea femminile Yule, come ci suggeriscono gli autori del sito “Il Cerchio della luna”. Quindi una fase di rinascita, seppure lenta e graduale. La pianta associata a questa festa è il vischio, in quanto simbolo di vita per la presenza delle bacche bianche simili allo sperma maschile. A livello individuale è un momento di riposo, in cui sperare bene per il futuro, consapevoli che la luce, per quanto flebile, tornerà a risplendere.